Il XVII secolo è caratterizzato dall’affermazione della riforma cattolica scaturita dal Concilio di Trento. Si nota la grande espansione dei nuovi ordini religiosi: Cappuccini e Gesuiti. Questi ultimi si dedicarono con successo agli studi, alle missioni in tutto il mondo: basti ricordare Matteo Ricci, missionario in Cina. Essi furono anche grandi direttori spirituali al punto tale che divennero i confessori dei più importanti sovrani cattolici fino a diventare una vera potenza politica così forte che nel secolo successivo provocò la reazione delle nazioni che ne chiesero la soppressione, cosa che avvenne nel 1773.
I Cappuccini si dedicarono più che altro alla direzione spirituale e agli studi teologici, pur rifiutando la guida spirituale delle monache.
Dall’altra parte sorsero grandi figure di santi della carità che si impegnarono a fondo nell’assistenza ai poveri ed ai giovani; ricordiamo solo a titolo di esempio i francesi san Vincenzo de Paul e san Luisa de Marillac.
In questo secolo si pubblicarono molti libri che commentavano la Sacra Scrittura o spiegavano i singoli libri (ricordiamo i commenti al Cantico dei Cantici di Bossuet, etc.) oppure tramite i commenti alla liturgia del messale; giova ricordare che in quei tempi il contatto con la Sacra Scrittura avveniva principalmente tramite il breviario ed il messale più che la Bibbia vera e propria. Questi testi furono molto usati nei monasteri femminili e su di essi si formarono tutte le religiose del tempo.

La mentalità religiosa di quel periodo era molto rigida, potenziando al massimo gli effetti dei sacrifici e penitenze che oggi ci sembrano esagerate, ma allora erano normali. In quest’epoca fiorirono le grandi mistiche come santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) che grazie alle apparizioni del Sacro Cuore di Gesù diede un grande impulso a questa devozione. Da ricordare anche la mistica spagnola María de Jesús de Ágreda (1602-1665), clarissa concezionista, autrice di uno dei più celebri testi di mistica: La mistica città di Dio.
Sbocciarono anche le grandi sante cappuccine, tutte mistiche: la beata Maria Angela Astorch (1 settembre 1592-2 dicembre 1665), catalana, fondatrice di due monasteri a Saragozza e Murcia in Spagna; santa Veronica Giuliani di cui parleremo; la beata Maria Maddalena Martinengo (4 ottobre 1687-27 luglio 1737), nobile bresciana. Tutte costoro lasciarono scritte le loro esperienze mistiche per ordine dei confessori dalle quali possiamo ricavare un’idea abbastanza precisa del tipo di spiritualità che si viveva nei monasteri.

Alla base di tutto c’era l’imitazione del Cristo sofferente e crocifisso che si voleva amare fino in fondo condividendone anche nel corpo i dolori atroci della Passione come suprema manifestazione di amore da parte dell’anima. In questo contesto vanno inquadrate le penitenze incredibili a cui si sottoponevano queste mistiche e anche la concessione delle stimmate da parte di Gesù va intesa in questa luce di partecipazione totale alla passione di Cristo, quindi all’amore con cui Egli ha sofferto quei dolori per la nostra salvezza. Non si possono, non si devono giudicare queste figure secondo la nostra mentalità perché si rischia di travisare il significato delle loro esperienze mistiche, ma bisogna collocarle nel loro contesto storico perché, pur essendo sante, furono donne del loro tempo.

Certamente la figura più significativa e complessa è santa Veronica Giuliani (Mercatello sul Metauro, 27 dicembre 1660 – Città di Castello, 9 luglio 1727), che visse profondamente il carisma delle Cappuccine nel monastero di S. Chiara di Città di Castello che oggi porta il suo nome. Ella, come tutte costoro, fu costretta dai confessori a mettere per iscritto tutto ciò che accadeva nel suo spirito, da qui nacque un diario quasi quotidiano della sua vita interiore, per 34 anni scrisse di getto senza potersi correggere tutte le sue esperienze. Se si pensa che il suo diario è di circa 22.000 pagine, si comprende anche la complessità e le difficoltà a penetrare efficacemente le profondità di questi scritti: c’è la tentazione di dare un’interpretazione soggettiva da parte di chi legge queste pagine; non temiamo di affermare che non sono testi alla portata di chiunque, ma occorre una buona preparazione di teologia e di storia proprio per le ragioni che abbiamo detto sopra.

La sua indubbia grandezza spirituale ci fa spesso dimenticare che suor Veronica Giuliani visse in una comunità di Cappuccine: ella si formò secondo la regola di santa Chiara, le costituzioni delle Cappuccine e le consuetudini del Monastero. Ricoprì tutti gli uffici di una religiosa finché nel 1716 fu eletta abbadessa. Durante questo ufficio ella promosse diverse opere importanti: l’ampliamento del monastero e l’incanalamento dell’acqua dal pozzo alla cucina e alla lavanderia. Amò profondamente la povertà, ma si impegnò a sollevare i disagi delle sue consorelle. Come si può vedere, dunque, pur avendo sempre lo sguardo ed il cuore sempre fissi in Dio, Veronica fu donna molto concreta.

Proviamo a delineare, anche se molto sinteticamente, i tratti principali dell’esperienza mistica e spirituale di Veronica Giuliani. Il filo che unisce gli avvenimenti da lei vissuti è senz’altro la ricerca dell’amore di Dio e in Dio, per poi trasmetterlo ai fratelli. Da qui nasce l’esigenza di partecipare alla passione di Cristo e di ricercare più possibile di viverne le sofferenze per poterne ricavare l’amore con cui Egli le soffrì. E Gesù corrisponde a questo cammino invitandola a fare passi sempre più avanzati nel campo sia della perfezione che dell’amore. La dimensione nuziale che Veronica dà subito al suo rapporto con Cristo ci illumina per comprendere le motivazioni più profonde del suo modo di agire. Cristo è lo Sposo e la sposa fa di tutto per amarlo, ma anche per essere amata da Lui. Le risposte dello Sposo Gesù sono positive secondo il cammino dell’amore intrapreso da lei: la concessione dell’anello nuziale, le stimmate e la corona di spine sono i sigilli di questa alleanza sponsale che Veronica rivendicò per tutto il resto della sua vita. In questa luce si deve intendere il suo “puro patire”, nel senso che esso corrisponde al puro amore.
Ella fu così conquistata dall’amore di Gesù che si ritagliò il ruolo di “mezzana”, cioè di mediatrice tra Dio ed i peccatori. Certamente l’unico mediatore è Gesù Cristo, ma come con le proprie sofferenze si partecipa alla passione di Cristo e quindi alla sua opera redentrice, così con la preghiera e l’intercessione Veronica partecipava alla mediazione di Cristo.
Anche lei, come le altre mistiche, sperimentava l’annullamento di sé di fronte a Dio, ma ciò non vuol dire perdita della propria identità: del resto se Dio è amore deve pur avere un altro soggetto da amare e dal quale essere amato; non può certo amare il nulla.

Nella vita mistica di Veronica è molto significativo il ruolo della Vergine Maria: specialmente negli ultimi anni fu proprio lei a dettare alla Santa l’ultima parte del Diario. Nonostante questo, però, la presenza di Maria è discreta: pur avendo un ruolo di primo piano, tuttavia ella rimane sempre dietro a Gesù; in fondo il compito della Madonna è sempre quello: portarci tutti a Gesù, “Fate quello che vi dirà” (Gv 2, 5).
Il 9 luglio 1727 suor Veronica Giuliani giunse alla fine della sua vita terrena, ma la sua non fu morte, bensì un incontro d’amore con lo Sposo Gesù, fu piuttosto una Pasqua che un Venerdì santo. Nelle sue ultime parole c’è l’essenza più profonda ed intima di tutta la sua vita: “L’Amore si è fatto trovare! Questa è la causa del mio patire; ditelo a tutte!”.

Mauro Papalini