Premessa

L’incontro con S. Veronica e di quelli che marca un missionario per la vita. L’esperienza del suo quotidiano contatto con Cristo Crocifisso, e del suo coinvolgimento nel processo di redenzione del mondo attraverso la preghiera e l’espiazione per contribuire a liberare gli uomini dal male e riconciliarli con Dio e tra di loro attraverso l’entrata nella Chiesa di Cristo, costringe l’evangelizzatore a riesaminare il perché del suo zelo, a rimettere a fuoco la finalità della sua azione apostolica e a verificare le motivazioni profonde che sostengono e urgono la sua azione.
Nella profondità quasi scioccante dell’azione di Cristo in Veronica, sia a livello spirituale che psichico e fisico, l’apostolo intuisce la profondità della chiamata degli uomini e donne alla fede. L’incontro con Cristo va ben al di là della assunzione di atteggiamenti e gesti pietistici esterni non sgorganti dal rinnovamento e ristrutturazione della mente e del cuore (Cfr. Ef 4, 22-24). La profondità delle esigenze della fede in Veronica, mette all’erta il missionario contro il pericolo di un’azione apostolica interessata più al numero dei battezzati che alla qualità della trasformazione della vita e della cultura.

Nella disponibilità di Veronica Giuliani a rispondere alle sollecitazioni di Cristo per farsi totalmente coinvolgere nel mistero della sua passione a vantaggio degli «infedeli», «eretici» e «peccatori», il missionario intravede le misteriose riserve di generosità che, sollecitate dallo Spirito Santo, possono portare donne e uomini a veri eroismi di dedizione apostolica e identificazione con Cristo.
Di fronte ai limiti personali dei nuovi e vecchi cristiani l’apostolo si può scoraggiare e può essere tentato di rinunciare all’eroismo suo e dei fedeli. Veronica testimonia che l’eroismo è possibile quindi dà speranza e slancio all’apostolo.
In un mondo occidentale che lega la efficienza alla preparazione tecnica specializzata, Veronica riafferma in modo categorico che alla base di ogni incisiva azione missionaria sta un’esperienza mistica di Cristo. Chi ne fosse completamente estraneo non potrà che mutilare l’azione missionaria, riducendola al solo livello di promozione sociale, con l’ottica di una interpretazione molto secolarizzata della vicenda umana.
L’esperienza mistica di Cristo è invece alla base di ogni vero impegno missionario, perché è da tale esperienza che nasce una vera vocazione missionaria e a tale profondo incontro personale con Cristo che la missione mira. Ho perciò trovato molto illuminante il volume di P. Metodio da Nembro, che costruisce il dinamismo missionario di Veronica, sulla sua esperienza mistica[ METODIO DA NEMBRO, Misticismo e missione di S. Veronica Giuliani, Milano 1962.].
L’esperienza mistica di Veronica non solo facilita al missionario una più profonda comprensione della vocazione, ma contribuisce a situare in modo più chiaro la vita contemplativa nel dinamismo della lotta divino-umana della trasformazione del mondo in Regno di Dio. Il Vaticano Secondo esalta la «fecondità» della vita contemplativa: «Gli istituti dediti interamente alla contemplazione offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode, e producendo frutti abbondanti di santità sono di onore e di esempio al popolo di Dio, cui danno incremento con misteriosa fecondità apostolica»[ Perfectae Caritatis, n. 7; cfr. anche: SACRA CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI E ISTITUTI SECOLARI, La dimensione contemplativa della Vita Religiosa, n. 25 e 26.].
La Sacra Congregazione per i Religiosi nell’esortazione «Venite Seorsum» ai membri degli Istituti di vita contemplativa, indica i mezzi attraverso cui tale fecondità si esplica:

«Infine i religiosi votati alla sola contemplazione, per mezzo della loro orazione aiutano l’opera missionaria della Chiesa poiché è Dio che quando è pregato, invia operai nella sua messe, apre lo spirito dei non cristiani, perché ascoltino il Vangelo, e renda feconda nei loro cuori la parola di salvezza.
Nella solitudine, nella quale attendono alla preghiera, i contemplativi non dimenticano mai i loro fratelli. Se si sono strappati dal loro frequente contatto, non l’hanno fatto in vista di una comoda tranquillità, ma per partecipare più universalmente ai loro dolori, alle loro speranze»[ SACRA CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI E ISTITUTI SECOLARI, Venite Seorsum, parte III, ultimo paragrafo.].

Tutte queste affermazioni acquistano nell’esperienza di Veronica una sorprendente evidenza e credibilità.
Desidero infine sottolineare la peculiarità della sensibilità missionaria di Veronica nel contesto ecclesiale del suo tempo (fine del diciassettesimo secolo e inizio del diciottesimo). Lo slancio missionario era in fase stagnante: «Nei monasteri soprattutto femminili del tempo di Santa Veronica l’eco della missione era piuttosto tenue non solo per la deficienza d’informazione, ma anche perché il primo grande impulso missionario determinatosi nell’era moderna con il Patronato, si era ormai afflosciato.
Sulla fine del Seicento e i primi del Settecento già si profilava la decadenza che avrebbe raggiunto il suo acme nella seconda metà del Settecento, specialmente nel periodo della rivoluzione francese[ METODIO DA NEMBRO, o.c., pag. 181-182.]»

Per svolgere il tema da me proposto seguirò il seguente schema:
a) all’origine dello zelo missionario di Veronica: l’unione trasformante con Cristo (sposalizio mistico);
b) coscienza della dimensione missionaria della vita contemplativa: apertura missionaria universale di Veronica;
c) mezzi di attuazione della dimensione missionaria
d) conclusione: puntualizzazioni sulla missione oggi.

All’origine dello zelo missionario

Ho già accennato che non si può comprendere una vocazione e impegno missionario se non si fa riferimento ad un’esperienza mistica attraverso cui l’amore redentivo di Cristo per le persone viene sperimentato in prima persona come fatto che dà gioia e slancio, come evento che libera dall’egoismo, dalla paura e dal peccato in genere.
Un grande missionario del secolo scorso, Daniele Comboni (1831-1881) scriveva:

«Se non che, il Cattolico, avezzo a giudicare delle cose col lume che piove dall’alto, guardò l’Africa non attraverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della sua Fede; e scorse colà una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comune Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il gioco di Satana in sull’orto del più orrendo precipizio. Allora, trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulle pendici del Golgota, e uscita dal costato del Crocifisso, per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre a dare il bacio di pace e di amore a quegli infelici suoi fratelli; sovra cui par che ancora pesi tremendo l’anatema di Canaam»[ COMBONI D., Piano per la rigenerazione dell’Africa, Venezia 1865, pag. 5.]
E’ proprio questo amore sacrificale di Cristo Buon Pastore (cfr. Gv 10, 1-18) che viene partecipato a Veronica in modo unico e profondissimo L’esperienza mistica del Crocifisso, anche a livello fisico, è la chiave di volta che apre alla comprensione dell’inesauribile slancio missionario della Santa. Essa viene cosi coinvolta nella missione del Servo di Jahve, descritta da Isaia con le seguenti parole:

«Eppure egli si e caricato della nostra sofferenza,
si è addossato i nostri dolori,
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiaccialo per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe siamo stati guariti».
(Is 3, 4-5)

Così Cristo comunica a Veronica, nella logica dell’unico corpo dello sposalizio, il senso e la finalità che lui ha della sua umanità, del suo corpo: «sacrificio per la santifica/ione del popolo» (cfr. Eb 10,10), chiaramente espresso anche dagli Evangelisti.

«Questo e il mio corpo dato per voi: fate questo in memoria di me».
«Questo sangue e la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi». (Lc 22, 17-18).

All’origine dell’evento Veronica-Missionaria c’è lo sposalizio mistico tra la Cappuccina e Cristo che ha vissuto tutta la sua vita e la sua morte in termini di sacrificio offerto «per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26, 27).
Perciò Felice da Mareto può scrivere: «Ideale supremo di tutta la sua vita fu quello di cooperare all’opera della redenzione del mondo, rinnovando nel modo più pieno – nella sua anima e nel suo corpo – la passione del Salvatore.
Croci e tormenti sono gioie e contenti, pene e tormenti, venite a me, ella era solita ripetere. Alle numerose grazie delle quali venne insignita, e a tanti segni di predilezione, Veronica corrispose offrendosi vittima di espiazione per la conversione dei peccatori e degli infedeli, per il trionfo della Chiesa per la gloria di Dio, pronta a soffrire qualunque pena»[ FELICE DA MARETO, «S. Veronica Giuliani», in Bibliotheca Sanctorum; Vol. XII, pag. 1502.]’. Lo sposalizio mistico diventa perciò il momento apice di questa consacrazione missionaria:

«Io ti ho eletta per mezzana fra i peccatori e me; però ora ti confermo e ti do quest’offizio di mia propria bocca, non con ispirazioni, ma a voce. Qui sia tutto il tuo traffico; a salvare le anime; con star sempre pronta a dare la vita e sangue per mia gloria e per salute delle anime… Io ti voglio tutta trasformata in me. La mia passione, i miei meriti e tutto il patire che ho fatto nel corso dei 33 anni, io te li dono e consegno, acciò tu operi con le mie opere. Patirai col mio patire; sarai operante al (col) mio operare. Fa tutto, in tutto, conforme il mio volere; spogliati da tutto, acciò tu possa dire daddovero: Christo confixa sum Cruci»[ D I, 911. Il brano citato contiene due delle dodici «regole della sposa» che Cristo stesso ha detto a Veronica. Cfr. anche: LAZARO IRIARTE, Esperienza e dottrina mistica, Roma 1981 pag. 54; METODIO DA NEMBRO, o.c., pag. 75.].

Questa «regola della sposa» mostra come, Cristo mandato dal Padre perché «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» trova in Veronica una espressione storica di massima attualizzazione e impatto. Un luogo scelto di presenza e di azione, come agnello sgozzato che toglie i peccati del mondo. Possiamo perciò senz’altro affermare che la conversione dei peccatori, nella sua accezione più ampia è il motivo profondo che unifica la vita della Santa ed è la finalità suprema che orienta e motiva tutto il suo essere, agire e patire.
In Paolo di Tarso lo zelo missionario diventa viaggio apostolico, evangelizzazione, sfida di ogni difficoltà proposta da Satana, dal potere civile e religioso, dalle avversità naturali (cfr. 2 Cor 11), necessità interiore di predicare il Vangelo (1 Cor 9, 16) per la nascita di nuove comunità cristiane. Per Veronica lo stesso zelo che sgorga dal cuore di Cristo (Fl 1, 8) diventa incessante preghiera ed espiazione nel quadro della struttura di un convento di clausura del XVII-XVIII secolo. E’ lo stesso Spirito Santo che trova espressioni e modalità diverse, per portare gli apostoli alla condivisione operativa ed efficace dello «impazzimento» di Dio per noi.

«Iddio pare impazzito per le anime nostre; ed ora io lo provo. Sento operazione tale che non v’e modo di dirlo con parole: l’anima mia resta tutta attonita come fuori di se, par che Iddio levi me da me, e mi pone in esercizio di cognizione di me stessa. Più conosco il mio nulla, la mia impotenza, maggiormente ho cognizione di Dio, dell’essere suo Infinito, della sua potenza e somma bontà. E’ tutto in me come si trova in tutte le creature: è tutto per me come e per tutto il genere umano»[ D V, 111. A. MINCIOTTI, Amore e luce, Città di Castello 1979, ha alcune pagine commoventi sull’Incendio d’amore che palpitava nel cuore di Veronica, cfr. pag. 24-28.]

Coscienza della dimensione missionaria della vita contemplativa: apertura universale di Veronica.

Quando parliamo di spirito missionario, l’espressione ha il seguente significato: coinvolgimento nella missione universale della Chiesa che include l’attività pastorale (che viene svolta in mezzo ai fedeli per la crescita e lo sviluppo della loro vita cristiana), l’attività ecumenica (per la ricomposizione dell’unità dei cristiani) e l’attività missionaria propriamente detta che comprende la prima evangelizzazione dei non-cristiani, la loro graduale accettazione di Cristo come Signore e l’entrata nel popolo di Dio visibile che è la Chiesa: è la missio «ad gentes» propriamente detta, ed è finalità specifica di quello che viene comunemente detto l’impegno missionario della Chiesa[ CONCILIO ECUMENICO VATICANI II, Ad gentes, 6.].
In Santa Veronica il coinvolgimento apostolico abbraccia tutta la missione della Chiesa, nei tre settori sopra menzionati.

Prima di tutto la missione «ad gentes». Anche se il secolo di Veronica non è particolarmente sensibile a tale compito, come ho detto sopra, Dio sensibilizza Veronica alla missione ai non Cristiani, agli «infedeli» secondo la terminologia del tempo. Assieme agli «infedeli», Veronica include anche gli «eretici» (i cristiani non visibilmente appartenenti alla Chiesa Cattolica). Il linguaggio che Veronica usa: «infedeli» ed «eretici», è oggi superato per la connotazione troppo unilateralmente negativa che implica. In ogni modo la validità dello slancio missionario di Veronica non ne è offuscato; essa mirò alla conversione piena e totale a Cristo di tutti gli uomini e che tutti i credenti in lui formassero, anche visibilmente, un unico popolo.

«La giornata, la spesi tutta in atti di carità, di mortificazione e di annegazione, facendo spesso atti di fede per gl’infedeli, atti di speranza per quelli che diffidano della misericordia di Dio, atti di contrizione per me e per tutti i peccatori. Ed offrivo ora il sangue prezioso di Gesù, ora tutta la Passione SS.ma, ora i meriti di Gesù e di Maria, per tutto l’universo mondo, in specie perché quelli che sono lontani da Dio, si convertano e riconoscano Iddio, Sommo Bene. Mi esibivo poi a pene, a tormenti, a croci e flagelli; avrei dato la vita ed il sangue per la conversione delle anime»[ D III, 1305-1306.]

«E poi, rivolta agli Infedeli di tutte le nazioni, dicevo – (si trovava nell’orto sotto i morsi del freddo nel 12.11.1697) – : O stolti, o pazzi, che fate? Ritornate alla vera fede di Gesù Cristo; venite, con me, alle sue sante piaghe; chiedete il Battesimo, per mezzo di esse. Io qui chiedevo in grazia questo lume di fede per tutti questi»[ D II, 302.]

II suo zelo missionario non mira solo agli «infedeli», ai «turchi» e agli «eretici», ma anche ai «peccatori» che sono lontani da Cristo pur restando nella Chiesa. Il 18 gennaio 1697 il suo impeto universale così esplode:

«Su, su, creature tutte, venite meco a cercare Gesù… O voi, Eretici e Turchi, venite alla vera fede. Gesù è fede, speranza e carità; venite a Gesù. Venite a Gesù, o peccatori iniqui ed ostinati, convertitevi tutti a Gesù; lasciate il demonio. Venite a Gesù, o anime addormentate, destatevi un poco. Venite a Gesù, o Religiosi tepidi e rilassati, venite a Gesù…. Venite tutti, venite tutte; a Gesù vi chiamo!»[ D I, 777.]

Oltre il suo Diario, non meno indicative sono le testimonianze delle consorelle ai processi canonici. Veniamo così a conoscere che Veronica era una vera ai animatrice missionaria della sua comunità.
La Venerabile suor Florida Cevoli, che fu amica e discepola, afferma:

«S’accendeva poi d’ardentissimo desiderio di sentirla distesa, ed abbracciata dall’universo Mondo, e colle sue Orazioni pregava di continuo il Signore per la conversione di tanti, e tanti Eretici, ed Infedeli, acciocché abbracciassero col lume del Vangelo la santa Fede, e si unissero nel grembo della santa Chiesa Cattolica»[ Summarium super dubio an constet de virtutibus, 52.].

Suor Maria Maddalena Boscaini, che ebbe Veronica come Madre Maestra, afferma:

«Sommamente desiderava che si fosse propagata per tutto l’intero universo, ed ella stessa per tal motivo ne avrebbe sparso tutto il suo sangue, come più volte diceva, ed’io stessa ho udito, e santamente invidiava quelli che sentiva portarsi fra infedeli: perché avrebbe voluto se fosse stato possibile unirsi seco loro per spargere tutto il suo sangue per la loro conversione, per la quale non mancava fare continue orazioni e farle fare, conforme più volte ha ordinato a me e ad’altre novizie, e a tutta la comunità: E a tal fine ancora indirizzava tutte le penitenze da me sopra dette, come anche faceva, come dissi per la conversione di ogni altro peccatore, avendo sommamente in orrore ogni qualunque peccato ed offesa di Dio»[ Summarium, 63.].

Non meno illuminante è la testimonianza di un suo confessore, il Servo di Maria P. Antonio Tassinari, che la seguì dal 1711 al 1724:

«Tutta ansiosa, e desiderosa viveva la detta Religiosa, che la santa Fede si propagasse nell’universo mondo colla conversione degli Eretici, e Gentili, e di ciò ne pregava con fervorosissime orazioni continuamente il Signore Iddio, come io ben sò per la già detta ragione di averla lungamente diretta, e letto i suoi scritti, ed era desiderosissima, che il Signore Iddio dasse ad essa ogni pena, e tormento in questa vita, purché concedesse gl’infedeli, Eretici, e Peccatori il vero lume per la loro conversione»[ Summarium, 67.].

Mezzi per l’attuazione concreta dello spirito missionario intercessione ed espiazione

Veronica era una contemplativa e spese tutta la vita dal 28 ottobre 1677 al 9 luglio 1727 dietro la grata del convento delle Cappuccine di Città di Castello. Il suo ardentissimo zelo per il Regno trovava perciò modo concreto di esplicarsi nella preghiera e nella penitenza. Come dice uno dei suoi confessori, il gesuita P. Giovanni Maria Crivelli, Veronica impiegava «fervorosissime orazioni ed asprissime penitenze per ottenere la conversione dei Peccatori e degli Infedeli»[ Summarium, 312. Per comprendere meglio quanto segue, cfr. C.E.I.: L’impegno missionario della Chiesa Italiana, 26.].

In Veronica si storicizza l’eterna intercessione di Cristo Sommo Sacerdote, che è come dice l’autore della lettera agli Ebrei, «sempre vivo per intercedere per noi» (Eb 7, 25; cfr. Eb 9, 24; Rm 8, 34; 1 Gv 2, 21).

E’ proprio questo aspetto del mistero di Cristo che si incarna in modo unico e centrale nella vita della cappuccina. Talvolta la sua preghiera diventa una vera lotta con Dio. Sembra quasi ricordare a Dio di essere veramente Padre e a Cristo di essere veramente Salvatore.
Viene in mente la lotta veemente di Mosè con Jahveh nel deserto: «Il Signore disse inoltre a Mosè…: «Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro (il popolo uscito dall’Egitto) e li distrugga»… Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio e disse: «Perché Signore divamperà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con forza grande con mano potente?…» «E il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo» (Es 32, 11-14).

Ecco dei passi significativi al riguardo:

«Ricorro spesso a Maria SS.ma, e la prego, di cuore, per tutto l’universo mondo; vado anche ai piedi del Crocefisso, ed ivi faccio offerte e dono di tutta me stessa, dicendo, di cuore, che intendo che tutte le sue piaghe mi siano voce avanti l’Eterno Padre, e mi ottengano la grazia di convertire tutto il mondo. Sì, mio Dio, fate Voi; chiamate tutti i peccatori e tutte le peccatrici; la croce è voce, le spine sono voce, i chiodi, le punture, tutte le ferite del vostro ss.mo corpo sono tante voci per noi..»[ D III, 987-988.]

«Delle volte pigliavo il Crocifisso che tenevo in cella dicevo: Signore, non vi voglio lasciare, sinché non sento che volete convertire qualche anima a voi. Sì, mio Dio, giacché la mia voce non è efficace, parlino per me queste vostre piaghe. In un subito sentivo un so che di nuovo, e come fuor di me restavo. Parevami capire che il Signore aveva tanto caro che si pregasse per la conversione dei peccatori. Io mi esibivo per mezzana fra Dio e i peccatori»[ D I, 32.]

L’espressione «mezzana» tra Dio e i «peccatori» ritorna di frequente negli scritti e sintetizza in modo scultoreo lo zelo apostolico della Santa. L’espressione appare fin dalla sua giovinezza, negli anni 1679-80. La terminologia è notevolmente audace e potrebbe suscitare dei dubbi in qualcuno timoroso di vedere offuscata l’unicità della mediazione «dell’uomo Cristo Gesù» (Tm 1, 2-5). Oggi lo sviluppo della teologia sacramentaria e l’applicazione del concetto di sacramento della Chiesa[ Lumen Gentium n. 1; Gaudium et spes n. 42.] ci permette di superare tali timori e di comprendere meglio la profondità delle audaci parole:

«O mio Signore, se questo può giovare, eccomi pronta a tutte le pene; purchè non si offenda Voi. Mi pongo per mezzana fra Voi e i peccatori. Inviate a me tutte le pene, i tormenti, i dolori e quanto è di gusto vostro; ma vi chieggo una grazia, pei meriti del vostro prezioso Sangue, e fatemela. Vi addimando la salute di quelle povere anime, le quali se ne vivono tutte fra mille colpe e peccati. Date loro lume mio Dio; toccate loro il cuore daddovero, acciò si convertano tutte a Voi[ D I, 251.]».

La Chiesa è segno e strumento della grande funzione sacerdotale di Cristo: intercessore e vittima per noi.
Nella Chiesa e per la Chiesa, come chiaramente vediamo nella Eucarestia Cristo visibilizza, incarna e storicizza la sua eterna ed invisibile supplica. Tutta la Chiesa perciò partecipa all’azione mediatrice di Cristo. Se tutta la Chiesa è segno e strumento dell’intercessione di Cristo possiamo senz’altro affermare che a titolo particolare ciò può essere attribuito alle contemplative[ Cfr.: Sacrosantum Concilium, n. 2 e Mutue Relationes, n. 3, 11.].

«Chiedevo grazie frequenti per la conversione di anime. Tutto il mio pensiero stava in continuo esercizio di pensare e investigare come potevo fare, acciò nessuno avesse più offeso Iddio. La notte non riposavo mai, non mi pareva d’aver tempo per il riposo del corpo. Tutta la notte stavo in orazione con pregare per la conversione d’anime»[ D I, 114.]

La preghiera appassionata e costante non è il solo grande mezzo che Veronica usa perché il Regno di Dio prenda radici e si sviluppi tra gli «infedeli» o rifiorisca nella vita dei peccatori. Altro mezzo fondamentale è la sofferenza, la penitenza, il patire.
Se nella preghiera di Veronica Cristo continua ad incarnare la sua intercessione, nelle sofferenze della Cappuccina Cristo continua il mistero della sua passione e morte.
Anche qui non si tratta di sottovalutare l’unico e fontale posto che i patimenti di Cristo hanno nella storia della nostra salvezza. Si tratta della logica di Paolo cosi sinteticamente espressa nella lettera ai Colossesi: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).

Veronica come Paolo e i grandi apostoli, vive in modo profondissimo le implicazioni della sua incorporazione a Cristo Sacerdote e Messia attraverso i Sacramenti del battesimo e confermazione. «Mezzana» è un modo diverso di esprimere il sacerdozio dei fedeli compreso e vissuto in misura eroica. Perciò la sofferenza per lei ha sempre una duplice finalità: prima di tutto una finalità mistica, cioè di partecipazione ai patimenti dello Sposo «appassionato», sperimentando in se stessa ogni particolare della sua passione, in secondo luogo una finalità apostolico-missionaria: sofferenza per la salvezza delle anime, per la conversione degli infedeli, per la conversione dei peccatori.

Nella stessa linea P. Metodio da Nembro scrive:

«In lei il mistero del dolore come avvenne per altre anime, assume due precisi aspetti e cioè: di conformazione a Cristo paziente e di partecipazione redentiva alla sua opera di salvezza, risolvendosi nel fondamentale motivo della espiazione vittimale all’amore incorrisposto e offeso dell’Uomo-Dio secondo una delle caratteristiche nella spiritualità del suo tempo visibilissima, tra l’altro, nell’Alacoque. Talché il suo altissimo amore a Dio diventa movente e forza che la solleva a vittima eccelsa per le anime»[ METODIO DA NEMBRO, o.c., pag. VII.]

E’ il patire espiativo e redentivo di Cristo che continua in Veronica, maestra per eccellenza dell’esperienza e della dottrina dell’espiazione. «Cristo realizza la prolungazione della sua azione mediatrice non solo alla destra del Padre, dove è salito» per prepararci un posto (Gv 14, 2) e per essere «sempre vivo per intercedere per noi» (Eb 7, 25), ma anche per mezzo della sua presenza, manifestata dall’amore del Suo Cuore, nella Chiesa e perciò nella santità della Chiesa, che è il prolungamento del Cuore di Cristo attraverso i tempi»[ PALAZZINI P.,Significato ed influsso di S. Veronica nella vita della Chiesa, in S. Veronica Giuliani, Dottore della Chiesa? (Atti del Convegno di Studi), Città di Castello 1979, pag. 65. MINCIOTTI A., o.c.. pag. 30.].

La prosecuzione della funzione di redenzione di Cristo per opera della Chiesa conferisce ad essa, e ad ogni sua azione attraverso i suoi membri, una rilevanza particolare per la salvezza del mondo. Per la legge della solidarietà – comunione – rappresentanza, la «salvezza di molti» è legata a Cristo e a coloro che a Lui si associano nel mistero della sua passione, morte e resurrezione. Perciò tutta la fame di sofferenza di Veronica ha una finalità fortemente missionaria.

«Mio Dio, più pene. Eccomi per mezzana tra Voi e il peccatore. Perché non siate offeso Voi, fate di me ciò che vi piace. Tormentatemi, inviatemi più croci, apparecchiate più pene. Tutto mi sarà poco, ma bensì grato per vostro amore»[ D I, 212.]

«Sono andata girando più volte le logge, a ginocchi nudi e, con sospiri e con lacrime, chiedevo al Signore la conversione dei peccatori»[ D I, 889].

Conclusione: alcune puntualizzazioni sulla missione oggi

La conclusione della storia della salvezza del mondo viene espressa da S. Paolo con le celebri parole «Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15, 28).
Veronica sperimentò in modo profondissimo questa invasione-presenza di Dio in sé attraverso Cristo.

«In quest’atto provai un non so che, che non mi è occorso mai più in questo modo. Parvemi che l’anima mia si unisse strettamente a Dio, e Iddio la unisse a Sè, con abbracciarla tenerissimamente. Il come fu ciò, non posso spiegarlo; solo, darò questa similitudine. Parvemi di sentire questo incontro dell’anima e Dio, come quando si vede, all’improvviso, qualche nostro intrinseco amico che viene di lontano. O Dio! Così ha fatto Esso coll’anima mia. Pare che l’abbia riconosciuta per sua amica e l’ha ripresa appresso di Sé. Non posso dire niente di quello che ho provato in quel punto»[ D II, 895.].

Ma l’esperienza di Veronica va oltre; in tutta la sua vita ebbe l’ardente preoccupazione che Dio prendesse possesso della vita di tutti gli uomini, fossero essi «infedeli», «eretici» o «peccatori».
Troviamo in lei la sete apostolica di S. Paolo con accenni non meno perentori e dinamici. I muri del monastero non le impediscono di essere presente dove si combatte la battaglia della venuta del Regno di Dio, attraverso la predicazione della Buona Novella ai non cristiani, il nascere e svilupparsi della Chiesa, la riunificazione dei cristiani divisi e il recupero di coloro che hanno abbandonato Cristo e la sua Chiesa, i «peccatori».
La grande lotta della conversione del mondo è vissuta in prima persona dalla Santa. Gli scontri violenti con il demonio rivelano l’alta drammaticità e misteriosità. La sua esperienza missionaria serve a richiamare alla mente alcuni aspetti dell’opera missionaria che la sensibilità odierna rischia di sottovalutare.

L’attività missionaria è un vero scontro con la potenza del male (Satana) che vuole impedire l’avvento del Regno di Cristo. Quanto è descritto nel salmo 2 non è semplicemente poesia:

«Perché le genti congiurano
perché invano cospirano i popoli?
Insorgono i rè della terra
i Principi congiurano insieme
contro il Signore e contro il suo Messia…»

Ridurre l’attività missionaria soltanto ad una lotta contro la fame, malattie e analfabetismo, vuoi dire secolarizzare in modo indebito la missione e dimenticare la complessità del suo mistero legato alla venuta contrastata del Regno e alla legge della croce, come morte e resurrezione dell’umanità e del cosmo (Atti 3, 20-21).
L’esperienza di Veronica nello scontro con Satana visualizza la Missione come intervento di Dio per rischiarare «chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1, 79).
La missione è infatti il cuore del grande combattimento escatologico degli ultimi tempi[ Ad Gentes, n. 9.].

Missione, preghiera, croce, sofferenza, penitenza. In un’era come la nostra, abbagliata dal mito della efficienza tecnica e della potenza dei mezzi economici, la missione può essere confusa con qualsiasi altra iniziativa umana basata e fondata sui mezzi economici e la potenza delle strutture. Si può pensare che l’efficacia dell’azione missionaria sia in proporzione al denaro a disposizione.
Veronica con il suo enorme corredo di esperienze, riafferma il primato della preghiera e della sofferenza come cause generatrici di fecondità nell’azione missionaria.
La Parola di Dio non trova l’ambiente per germinare i suoi frutti, il cuore degli uomini non apre i battenti alla Buona Novella e alla risposta a Dio, se la Parola proclamata dal missionario non è preceduta, accompagnata e seguita da ondate di preghiere e penitenza.
Un missionario che non ha alle spalle delle Veroniche Giuliani, è votato alla sterilità dei suoi sforzi. Veronica Giuliani ci invita ad un sempre più grande recupero missionario e apostolico non soltanto di tutto il mondo dei contemplativi, ma anche dell’enorme schiera dei sofferenti di ogni tipo, dai malati agli anziani, agli handicappati: un enorme potenziale missionario che l’odierna mentalità tecnica potrebbe portarci a sottovalutare.
Il decreto del Vaticano Secondo sull’attività missionaria è quanto mai esplicito:

«Gli istituti di Vita Contemplativa, con le loro preghiere, penitenze e tribolazioni hanno la più grande importanza ai fini della conversione delle anime, perché è Dio che, quando pregato, invia operai nella sua messe, apre lo spirito dei non cristiani perché ascoltino il Vangelo e rende feconda nei loro cuori la parola della salvezza. Si invitano anzi gli Istituti di questo tipo a fondare le loro case nelle terre di missione; come del resto non pochi han già fatto, perché vivendovi ed adattandovisi alle tradizioni autenticamente religiose dei popoli, rendano tra i non cristiani una magnifica testimonianza della maestà e della carità di Dio, come anche all’unione che nel Cristo si stabilisce»[ Ad Gentes, n. 40.]

La «conversione» in tutta la sua ampiezza e profondità resta un fatto qualificante della missione cattolica. Il rispetto delle culture, per i valori che esse contengono, non può sminuire la profonda trasformazione che l’adesione a Cristo nella sua Chiesa comporta:
– rivoluzione della mente e del cuore
– prendere la croce
come elementi essenziali della sequela di Cristo. Veronica, con quel suo martellare sulla necessità della «conversione» invita il missionario di oggi a trovare l’equilibrio fra rispetto delle culture (Redemptor Hominis, n 12) e necessità della loro evangelizzazione e quindi di una loro trasformazione e purificazione (Evangelii Nuntiandi, n. 20). E soprattutto, al di dentro di questo quadro, la conversione, spesso sofferta e dolorosa delle persone.

Desidero concludere questa riflessione e documentazione sullo spirito missionario di Veronica Giuliani con ciò a cui avevo accennato all’inizio, cioè il primato dell’esperienza mistica dell’incontro personale con Cristo, dell’azione trasformante della Parola di Dio e della incidenza vivificante e illuminante dello Spirito Santo, sull’azione missionaria diretta. Esperienza mistica che in Veronica include anche l’aver gustato la fecondità della croce, il dinamismo inesauribile della conversione e l’accettazione della mediazione della Chiesa nel dialogo da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio.
Veronica ricorda e rivive l’esperienza dell’inizio della Missione della Chiesa. Per gli apostoli lo «stare con Cristo» precede costantemente la Missione, non solo in senso temporale ma in senso ontologico e vitale.
La storia missionaria di Paolo sgorga dall’incontro con Cristo sulla via di Damasco. Cristo che è il missionario per eccellenza, fa costante riferimento al «seno» del Padre da cui viene e a cui torna. La sua Missione è condivisione e partecipazione a questa sua esperienza unicissima, (Gv 1, 18) che attraverso l’obbedienza della Croce vuole comunicare a tutti (Fl 2, 6-11).

La mancanza di una tale esperienza trasforma il missionario, da servitore del Regno e dell’uomo, in propagandista di una ideologia religiosa e di un credo sociale. La missione è rendersi disponibili nelle mani di Dio perché attui in pienezza il suo piano d’amore, la pienezza della sua paternità verso tutte le persone e tutti i popoli. Disponibilità che è direttamente proporzionale all’esperienza che uno ha fatto di questo amore.

«In un istante anche ella (l’umanità) mi parve che partecipasse un poco di quello che partecipava lo spirito; e ciò la rese a nuove forze, per più patire. Tutto questo fatto non posso raccontarlo, perché non vi è modo di dire le opere del Divino Amore. Vi vorrebbe lo stesso Amore; ed Esso, più si comunica all’anima, e più la rende inabile a non poter dire parola di Lui. Di questo Dio più se ne sente, e meno si sente; perché nessuno lo può spiegare né capire né comprendere. E immenso, infinito, incomprensibile; è sommo, ed è amore immenso, non compreso ne capito da alcuno. Ma Esso si dà tutto, in tutto, alle anime fedeli. Così apprendevo, in quel punto, e lo sentivo in me, in un modo che non ho modo di raccontarlo. L’anima mia stava in mezzo a questo mare d’infinito amore, capiva, sentiva e vedeva; non ella, ma Dio in lei, e lei in Dio. Con Dio capiva Iddio, con Dio sentiva Iddio, e con Dio medesimo vedeva Iddio in lei, e lei in Dio»[ D II, 1261-1262.]

Padre Francesco Pierli, comboniano.